Di Camillo voglio qui ricordare la determinazione nel
difendere le proprie convinzioni, la riservatezza, che lo portava a prendere la
parola solo quando lo riteneva indispensabile o quando l’argomento trattato lo
sollecitava particolarmente o le cose che aveva sentito lo facevano arrabbiare
ed allora la sua oratoria si scioglieva e superava ogni timidezza.
Camillo Galba, infatti, aveva quelle tipiche caratteristiche
piacentine che sono una miscela di riservatezza e timidezza le quali producono
serietà nell’approccio ai problemi e concretezza nell’individuare le soluzioni.
Membro del Comitato di redazione di “Libertà”, due volte
vice-Presidente e, poi, per altrettanti mandati, Presidente del Sindacato
regionale dei giornalisti, successivamente componente della Giunta esecutiva
della Federazione nazionale della stampa: in tutti questi ruoli si
caratterizzava per la disponibilità verso i colleghi che, in questi anni di
gravissima crisi e della professione giornalistica e dell’editoria, sempre
numerosi gli si rivolgevano per avere assistenza, per chiedergli consigli e per
impegnarlo a seguire le vertenze nelle loro aziende.
Aveva profonde e precise convinzioni politiche e culturali.
La sua militanza nello storico Partito liberale italiano e nell’Associazione
dei liberali lo testimonia. Da quell’idea, quella del liberalismo storico, non
aveva mai arretrato, e si dispiaceva nel constatare che nel mondo politico di
oggi fosse difficile trovare una forza politica erede di quella tradizione. Ma
nel Sindacato lo guidava una sola bussola: quella dell’autonomia dalla politica
di partito per far prevalere l’interesse collettivo dei colleghi. Una idea che,
in qualche misura, la si ritrova nel nome stesso della lista che lo elesse
nella Giunta nazionale: “Fare Sindacato”. Una lista fuori dagli schieramenti
maggiori, ma che corrispondeva ad una sua autonoma idea di cosa dovesse essere
un Sindacato vero.
Con lui potevi scontrarti e dissentire anche fortemente – ed
è accaduto anche al sottoscritto, in tutti questi anni di comune militanza
sindacale - ma questo non comportava ostracismi o chiusure definitive. Il
rispetto per le idee altrui era reale, non formale. Nei dibattiti, sempre
accesi e qualche volta fin troppo sopra le righe, che caratterizzano la vita
dell’organizzazione sindacale dei giornalisti italiani, richiamava spesso tutti
al rispetto delle minoranze anche quando le sue idee corrispondevano a quelle
della maggioranza. Per quanto lo scontro fosse aspro non l’ho mai visto o
sentito trascendere, anche se sapeva essere duro e determinato quanto
necessario con la controparte datoriale nel corso delle trattative che era
chiamato a condurre.
La sua era competenza reale, anche tecnica, che cercava di
approfondire ed aggiornare in continuazione affinché “il sindacato di servizio”
a cui credeva fosse capace, ma per davvero, di essere tale e, quindi,
assolutamente utile ai giornalisti piacentini, emiliano-romagnoli ed italiani.
Un Sindacato, cioè, che non fosse solo produttore di grandi proclami, di
analisi profonde della realtà e delle prospettive nazionale ed internazionale,
ma che fosse concretamente in “trincea”, presente dove i colleghi rischiano il
posto di lavoro, dove i collaboratori sono umiliati da trattamenti economici
iniqui e dove è necessario trovare soluzioni percorribili ed esercitare l’arte
della mediazione. Sapeva che la situazione di oggi non consente superficialità
e dilettantismo.
Tutto questo in lui si sposava con un carattere in fondo
mite e disponibile verso l’altro senza spocchia per il ruolo che aveva via
via assunto nella gerarchia sindacale regionale e nazionale.
Ora che Camillo non c’è più, con sgomento constatiamo che la
sua era una presenza forte, rigorosa, una personalità della cui solidità
probabilmente non si era colta fino in fondo la forza. E questo aggiunge
amarezza al dolore profondo per la sua perdita.
Giovanni Rossi
Presidente della
Federazione nazionale della stampa italiana